Vincenzo Scarantino è una figura chiave nel caso della strage di via D'Amelio, avvenuta a Palermo il 19 luglio 1992. È noto per essere stato un falso pentito le cui dichiarazioni, poi rivelatesi infondate e ottenute sotto pressione, hanno portato a condanne ingiuste e ad un depistaggio delle indagini per anni.
Scarantino, inizialmente presentato come un piccolo delinquente e poi come un affiliato alla mafia, ha fornito una serie di confessioni e accuse che indicavano soggetti responsabili dell'attentato in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Queste dichiarazioni, validate da diversi organi inquirenti, hanno condotto all'arresto e alla condanna di numerosi innocenti, in quello che è poi stato definito un clamoroso errore giudiziario.
Successivamente, le sue dichiarazioni sono state ritrattate e sono emerse prove di depistaggio e manipolazione delle prove, mettendo in luce il ruolo di alcuni funzionari di polizia nella costruzione di un falso scenario. La sua vicenda è diventata un simbolo dei rischi di una giustizia basata su testimonianze inattendibili e della necessità di indagini rigorose e imparziali. La sua figura è legata indissolubilmente alla storia oscura delle stragi di mafia degli anni '90 in Italia.
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